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9 Febbraio 2025

Abusivismo edilizio a Ischia

Una questione giuridica, culturale e sociale

di Emanuele Verde

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Leggendo di recente un articolo sul quotidiano locale *Il Golfo*, ho scoperto che in Campania gli immobili con ordinanza di demolizione sono circa 70.000, di cui ben 10.000 concentrati sull’isola d’Ischia. Questo significa che il 15% degli immobili da abbattere in tutta la regione si trova su un territorio che rappresenta appena lo 0,3% della superficie regionale (46,3 km² contro i 13.670,95 km² della Campania). Tuttavia, diciamolo chiaramente, dietro questi numeri si nascondono dinamiche complesse e spiegazioni non univoche.

Con un minimo di prospettiva storica – il fenomeno è ultradecennale – si potrebbe riflettere sull’efficacia dell’avvocatura ischitana (anche se personalmente non ho gli strumenti per approfondire questo aspetto). Oppure, si potrebbe ragionare sulla rilevanza economica di Ischia. In fondo, il dato dei 10.000 immobili in attesa di demolizione potrebbe essere visto come il rovescio della medaglia di un’economia che per lungo tempo è stata centrale nella regione. Un tempo si diceva che Ischia generasse circa un terzo del PIL turistico della Campania; oggi, anche se quella proporzione potrebbe essersi ridotta, l’importanza economica dell’isola resta innegabile. Il boom edilizio – spesso illegale – sembra essere un riflesso diretto di questa centralità.

Di fronte a questi numeri, però, una cosa mi appare evidente: l’abusivismo edilizio non è solo un fenomeno giuridico. Per quanto la dimensione normativa resti quella prevalente per disciplinare il problema (un altro condono?), la questione ha radici molto più profonde. È qui che emerge un dramma culturale.

Ci sono due nodi principali. Il primo è un’idea distorta della proprietà privata, secondo cui ciascuno si sente libero di fare ciò che vuole, senza limiti o regole, salvo quelle stabilite (o tollerate) dal vicinato. Il secondo è la confusione tra “diritto alla casa” – e qui sarebbe necessario avviare una seria riflessione sui ritardi e le responsabilità dello Stato in tutte le sue articolazioni – e “diritto alla casa di proprietà”. Perché, alla fine, temo che all’ischitano medio – chiamiamolo così – interessi poco il discorso sull’edilizia pubblica. L’obiettivo è sempre stato la casa di proprietà; meglio se con un posto auto (la macchina è un altro status irrinunciabile) e un giardino attiguo, quasi a mantenere un legame, perlopiù retorico, con le origini contadine.

Quanto alla politica locale, ritengo che, salvo una fase iniziale in cui abbia effettivamente assecondato il fenomeno dell’abusivismo edilizio, essa ne sia poi divenuta vittima, perdendo gradualmente ogni legittimità e capacità di disciplinarlo. Questo conferma quanto già detto: l’abusivismo non è soltanto una questione giuridica o economica, ma un fenomeno complesso che intreccia dimensioni culturali, psicologiche e sociali. È cruciale, tuttavia, che il dibattito sul tema a Ischia torni a essere realmente plurale, non tanto sul piano mediatico quanto in termini di rappresentanza politica e associativa. Chi possiede una visione critica, alternativa, anche minoritaria, deve poter avere spazio e “voce”. A maggior ragione oggi, in un contesto in cui i partiti hanno perso la loro funzione di intermediari politici.

Per questo accolgo con favore le iniziative del CO.RI.VERDE ISCHIA. Finora, il merito più significativo di questa associazione è stato quello di ampliare il discorso sull’abusivismo, e non solo sull’abusivismo, collegandolo a due progetti di ingegneria istituzionale: l’istituzione del Parco dell’Epomeo e quella del Comune Unico. Seppur non nuovi, restano temi ambiziosi che hanno il potenziale di ridefinire non solo la gestione del territorio, ma anche l’identità stessa dell’isola.

Del resto, come sosteneva Max Weber nel celebre saggio “La politica come professione”, “la politica consiste in una lenta e tenace perforazione di tavole dure”. Nel nostro caso, preferisco una parafrasi più ardita: qui si tratta davvero di “demolire mura durissime”. Una sfida che non è solo tecnica o amministrativa, ma culturale nel senso più profondo del termine.

Emanuele Verde