Periodicamente a Napoli un minore muore a colpi d’arma da fuoco. Mor’ acciso. L’ultimo in ordine di tempo il quindicenne Emanuele Tufano freddato con un proiettile alla schiena dalle parti di Forcella nella notte tra il 23 e 24 ottobre scorso. Ma l’elenco è lungo e fa una certa impressione: da Annalisa Durante, a Emanuele Sibillo (il baby boss “ES17”), fino a Ugo Russo a Napoli se more a tarallucce e vino, parafrasando la celebre canzone dei 99 Posse.
Certo, bisogna resistere a mettere tutto insieme, bisogna sempre sforzarsi di distinguere fatti, contesti e biografie, dopodiché forse bisognerebbe riconoscere che proprio la periodicità su richiamata non può essere derubricata a semplice casualità. Chi scrive non ha verità preconfezionate da offrire ai lettori, anzi per attitudine ha sempre offerto molte più domande che risposte. In molti casi suggestioni che non portano da alcuna parte.
Una di queste mi è tornata in mente leggendo un libro che mi colpì profondamente: Storia della camorra del professor Francesco Barbagallo. È un testo ricco di spunti che aiutano a comprendere il passato e, ancor più, a decifrare il presente.
Tra gli episodi narrati da Barbagallo ce n’è uno che riguarda Pasquale Scialò, detto ’o Sciascillo, e mi colpisce ogni volta che affiorano in cronaca storie come quella di Emanuele, Ugo e tanti altri giovani. Scialò, nel 1876, a soli 15 anni aveva già commesso quattro ferimenti a colpi d’arma da fuoco. A 17, compì un attentato con una bomba e chiuse il 1878 con il suo primo omicidio, per il quale fu condannato nel 1880 a cinque anni di carcere. Tuttavia, evitò la pena grazie all’appello. La sua carriera criminale si concluse solo nel 1883, dopo una lunga serie di crimini, quando fu infine condannato a sei anni di reclusione. Dopo di allora, si persero le sue tracce.
Riflettere su questa storia porta inevitabilmente a un parallelo con le odierne “paranze” e le baby gang, o con i presunti effetti emulativi di alcune produzioni cinematografiche come Gomorra. Questa riflessione contribuisce anche a decostruire una convinzione comune, e forse ingannevole, secondo cui la camorra “di una volta” aveva regole d’onore che sembrano ormai scomparse. Una delle poche certezze che possiedo in questo mare di dubbi è proprio questa: regole e onore, nella camorra, non sono mai esistiti.
P.S.: Nel saggio di Barbagallo emerge anche un riferimento a Ischia. A fine Ottocento, Napoli era politicamente dominata da un vero e proprio “triumvirato” di malaffare: il sindaco Celestino Summonte, il deputato Alberto Casale e il direttore de Il Mattino, Edoardo Scarfoglio, marito di Matilde Serao. A contrastare questo potere c’era La Propaganda, un settimanale socialista su cui scriveva anche l’avvocato foriano Domenico D’Ambra. Casale querelò la testata, ma il processo finì per ribaltare le parti e accusare lo stesso Casale. Tra le tante rivelazioni emerse anche una “regalia” di 30.000 lire dalla compagnia di navigazione Manzi, che gestiva i collegamenti marittimi con Ischia.
Emanuele Verde